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Approfondimenti professione cantante

Il talento

Parliamo di talento.

Di che cosa parliamo quando parliamo di talento? È qualcosa che si può misurare, una dote innata o una capacità che si può sviluppare?

Oggi il talento è quasi un’ideologia. È in base al talento che le persone vengono definite e si fanno previsioni sul loro futuro. Il talento è considerato come la propensione a essere geniali, o comunque speciali, in una data attività. È un concetto affine a quello di genio, ma implica sempre un’idea di misurazione e di valore. Si basa sulla convinzione che ogni individuo nasca con specifiche capacità, definibili e in qualche modo pesabili. 

Dire di qualcuno che è senza talento significa condannarlo a una mediocrità senza scampo. Accusarlo di essere “un talento sprecato” sconfina nella derisione. 

Il problema è che concepire il talento come qualcosa che si riceve dall’alto o si possiede per natura implica l’idea – falsa – che i fattori ambientali, sociali ed economici non contino e, soprattutto, che il talento non si possa acquisire e sviluppare – o raddoppiare.

Il talento non si misura, non si riceve e non si possiede. Si cerca, si trova e si costruisce. E si può farlo soltanto facendo. Diceva Jacques Brel, il cantautore: «Il talento è averne voglia. Tutto il resto è sudore, traspirazione, disciplina».

Progredire, migliorare se stessi e superare i propri limiti.

Chi stabilisce quali sono i tuoi limiti?
Sono limiti fisici, contestuali, culturali, sociali, umani, ideali?
Tu stesso conosci e costruisci i tuoi propri limiti.
Attraverso l’ esplorazione ti costruisci una mappa del mondo che modifichi con l’esperienza stessa. Ma ricorda… la tua rappresentazione del mondo non corrisponde al mondo. Devi prendere consapevolezza che i limiti di tale mappa sono anche quelli del tuo sguardo e dalla direzione in cui guardi, non solo quelli fisici del territorio.

Pensi che il tuo carattere, la tua personalità, o i geni, sono limiti che possono predire quello che farai e dove arriverai?

Ci sono persone che sono partite con premesse caratteriali o sociali sfavorevoli alla propria realizzazione in un dato contesto storico-culturale. Tuttavia la storia è piena di gente che, osservata in un dato momento della sua vita attraverso il suo status sociale e le sue prestazioni, non sarebbe stata riconosciuta da amici e parenti in un momento successivo della propria vita.

Poi ci sono i limiti dati dagli altri! Quante volte ti è stato detto“lascia perdere, non fa per te”.

Un giorno un operaio napoletano, che desiderava tanto diventare un cantante, ricevette dal suo maestro di canto il responso sulle sue reali possibilità di riuscita. Non era portato e non aveva voce, a quanto pareva, e non sarebbe mai diventato un cantante. La sua voce assomigliava al vento che passa attraverso le imposte. Il maestro di canto avrà pensato che non è giusto dare false speranze alle persone e illuderle. La madre invece abbracciava e lodava il ragazzino, e gli diceva che era sicura che avrebbe potuto fare il cantante, che aveva già fatto passi avanti, e si sacrificò per pagargli le lezioni. Questa è una delle storie raccontate dal famoso formatore Dale Carnegie, che passò la vita aiutando gli altri a migliorare le proprie abilità sociali e la qualità della propria esistenza.

Da una parte nella sua ricerca scoprì cosa facevano le persone abili socialmente, dall’altra dimostrava come molte di loro avessero acquisito tali abilità, e che non le avessero sempre avute, alla faccia della predizione che ci si aspetta dai test attitudinali sofisticati dei nostri tempi! Una delle tante prove raccolte da Carnegie sulla incredibile capacità delle persone di sviluppare doti eccezionali dal nulla è la storia dello ‘stonato’ operaio napoletano citato poco sopra, che altri non era se non Enrico Caruso, divenuto il più grande cantante d’opera del suo tempo.

Un’equipe guidata dal ricercatore americano Robert Rosenthal sottopose gli alunni di una classe ad un test di intelligenza. Poi selezionò in modo casuale un numero ristretto di bambini e comunicò agli insegnanti che si trattava dei più intelligenti, senza rispettare i veri risultati dei test. Dopo un anno Rosenthal tornò in quella classe e verificò che gli alunni scelti a caso avevano confermato le sue predizioni migliorando molto il loro rendimento scolastico fino a diventare i migliori della classe. L’effetto si verificò verosimilmente grazie all’influenza positiva degli insegnanti, che riuscirono a stimolare negli alunni selezionati passione e interesse per lo studio. Questa è l’applicazione in ambito scolastico del principio noto in sociologia come “la profezia che si autoavvera”, cioè una previsione che si realizza per il solo fatto di essere stata espressa.

Molti di noi, per pigrizia per lo più, sostengono di non avere il tempo per eseguire materialmente ‘certi compiti’. Eppure, più che di compiti si tratta di esperienze, abitudini comportamentali, che non si aggiungono ai nostri doveri quotidiani, ma si integrano con essi e ne modificano lo stile. “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel vedere nuove terre, ma nel cambiare occhi”, diceva lo scrittore francese Marcel Proust. Quindi più che un maggior numero di passi da fare nel nostro cammino quotidiano, si tratterebbe di focalizzarci in modo diverso sul come facciamo le cose che già dobbiamo fare, ritenere importanti le nuove abitudini, e metterci il nostro impegno per acquisirle.